RapidShare non significa pirateria
Il servizio di file hosting contro gli analisti di MarkMonitor, accusati di diffamazione per aver parlato dei cyberlocker come dei nuovi luoghi della pirateria web. Un gran numero di visite non vuol dire affatto violazione del copyright
L’analisi aveva dunque fatto luce sul fenomeno in ascesa dei cosiddetti cyberlocker, da collegarsi in maniera diretta al fenomeno della pirateria audiovisiva. Megavideo e affini sarebbero ormai diventati il nuovo standard in materia di violazione del copyright. Accuse del tutto inaccettabili per i rappresentanti legali di RapidShare che hanno sottolineato come il servizio offra la possibilità di gestire e condividere contenuti in maniera assolutamente legittima.
Gli analisti di MarkMonitor avrebbero in pratica sfruttato un approccio metodologico completamente errato, partendo dal presupposto che il numero complessivo di visite corrisponda ad attività di violazione del diritto d’autore. Gli utenti di RapidShare hanno infatti la facoltà di caricare foto, video e documenti senza incappare in alcun tipo di infrazione. I risultati dello studio porterebbero dunque ad un assunto diffamante nei confronti del servizio di file hosting.
Posizioni condivise anche dai rappresentanti di Megaupload, che hanno sottolineato come il servizio possa essere usato per scopi leciti o meno. Le stesse condizioni d’uso della piattaforma prevedono zero tolleranza nei confronti delle violazioni, una volta segnalate dai rispettivi detentori dei diritti in base alle previsioni del Digital Millennium Copyright Act (DMCA). I legali di Megaupload si sono poi chiesti come mai Google non sia presente nella classifica dei luoghi web della pirateria, nonostante ospiti “la più vasta indicizzazione di contenuti illeciti”.
Mauro Vecchio
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